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giovedì 11 aprile 2013

LA PROTHISION DEL VENDER SANT





Di Nino Gnech


In tei riti de Pasca avea na gran importantha la prothisan de not del Vender Sant. Se partia tuti dalla cesa, se ‘ndea fin an capitel via a la Vila e po’ se tornea inte cesa. El preve el portea in prothison el Santissimo col ostensorio pi bel, el caminea sot al baldachin portà da quattro sbolde doven e con intorn quattro ferai col bachet portadi da altri quattro bociathoi. 

L’era ‘na corsa fra i doven a ciaparasse un de sti ruoli, parchè olea di che da boce se passea de grado, se deventea sbolde.
I chierichetti col turibol e l’incenso i caminea vesin al preve, i omi davant, subito dopo la cros e da drio tutte le femene. 

Me recorde che la prothison la ‘ndea avanti per en toc in silenthio e de tant in tante el coro de le femene cantea na strofa e dopo en tochet ghe tochea ai omi responde con ‘n altra strofa. Parea che le domandese valc e che i altri, con comodo ghe dese la risposta. L’era tut in latin e no capion nia ma i veci, malithiosi, i ne avea insegna che el duetto el disea: “Parche…epo pisetu sentha molà pet” e la risposta, dopo en tochet, la disea : Fathe compagn de en violin thentha archet”

L’era blasfemo, ma no se rendion cont e cande che el motivet te entrea in testa, te era tentà de cantalo anche de fianco al preve.

L’era anca tradithion che intant prothison calche sbolda, dei pi veci, postà lontan, de drio an talvà o an busch, el fese calche bot, calche tonada. No l’era ancora fathile come ades comprà calche petardo, calche mortaret de foghi d’artifithio, ma, dopo la guera, l’era ancora tante armi in giro, fusii,pistole co le so cartucce e anca bombe a man; l’era con chesti che i dovinoti i fea i bot.

Se no, i doprea el carburo, de chel se ghen catea fathile, parchè i lo vendea per le lampade da minador che se usea anca per ‘nda a rane o inte stala. Con en bosol da conserva, grant e vodo, con en buset sul cul, en cin de fen inte, poia per calche ninuto sora na buseta con acqua e carburo, el bosol se carghea de gas. Dopo avelo reversà sul fianco, se ‘l impithea con en stopin, avithinandolo al buset. La tonada che vegnea fora l’era come na canonada, se sentia l’eco da le montagne intorn e chei in prothison se domandea: saralo stat chi?

L’era tute robe en bon cin pericolose e, infati, l’e suthedest ancha calche burt caso che me recorde; en sbolda el ghe ha remetest en det de la man dreta, poreto.


Traduzione




Fra i riti di Pasqua aveva un grande rilievo la processione notturna del Venerdì. Si partiva dalla chiesa parrocchiale e si andava ad un capitello del villaggio Villa, poi si ritornava alla chiesa. Il parroco portava in processione il Santissimo con l’Ostensorio più bello; camminava sotto un baldacchino, portato da quattro ragazzotti e contornato da quattro lanterne con stelo,portate da altri quatto ragazzi. I ragazzi facevano a gara per accaparrarsi uno di questi ruoli perché questo costituiva un avanzamento nella scala sociale: si passava da ragazzi a giovanotti. I chierichetti con turibolo e incenso camminavano vicino al parroco, gli uomini davanti, subito dopo la croce che apriva la processione e le donne, invece, tutte dopo il prete. 

Mi ricordo che la processione avanzava in silenzio e solo di tanto in tanto i cori cantavano qualche strofa alternandosi fra donne e uomini. Sembrava fossero delle domande cui , dopo qualche minuto, venisse data la risposta

dal coro antagonista. Era tutto in latino e noi ragazzi non capivamo niente, ma i vecchi, maliziosi, ci avevano insegnato che il duetto diceva:

E la risposta, dopo una pausa di silenzio, era: . Era naturalmente qualcosa di blasfemo, ma non ce ne rendevamo conto, e quando il motivetto ti entrava in testa, eri tentato di cantarlo anche di fianco al prete.

Era tradizione anche che, durante la processione, qualche giovanotto, nascosto poco lontano,dietro ad un fienile o ad un cespuglio, facesse qualche sparo, qualche botto. Allora non era facile , come adesso, comprare mortaretti e fuochi d’artificio ma, dopo la guerra, c’erano in giro molte armi, fucili e pistole con relative cartucce ed anche delle bombe a mano; era con questi che i giovanotti facevano i botti. In alternativa veniva usato il carburo di calcio, che era facile reperire perché era usato nelle lampade da minatore, utilizzate per andare nelle stalle o anche per la cattura delle rane in primavera.

Si metteva un grande barattolo di latta vuoto, con un piccolo fori sul fondo e riempito di fieno, capovolto sopra una piccola buca nel terreno, contenente acqua e carburo. Dopo qualche minuto il barattolo era pieno di gas acetilene trattenuto dal fieno. A quel punto veniva rovesciato sul fianco e, con uno stoppino in fiamme si dava fuoco attraverso il foro .

Il boato che ne scaturiva era come un colpo di cannone, del quale si sentiva l’eco dalle montagna circostanti. Quelli in processione si chiedevano l’un l’altro: chi sarà stato?

Erano tutte pratiche molto pericolose e, infatti,sono successi anche degli incidenti, mi ricordo di un ragazzotto che, poverino, ci ha rimesso un dito della mano destra.


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